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Il pasticciaccio della petrolchimica nell´isola diventa un thriller

  •  8 February 2000 | Press review | L´Unione Sarda
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Un romanzo di Bepi Vigna per le edizioni Condaghes sulla forzata industrializzazione degli anni Settanta.

Nelle campagne tra Baunei e Urzulei esistono ancora oggi i resti di un piccolo villaggio che come tanti altri cessò di vivere nel 1600, spazzato via da una pestilenza. Un mucchio scomposto di bassi ruderi sparsi qua e là a pelo d´erba, che lo scrittore e sceneggiatore Bepi Vigna aveva già fatto rivivere sulla carta in più occasioni, immaginandolo ancora in piedi in epoca moderna e facendone un luogo privo di coordinate reali ma fortemente sottomesso al genius loci della memoria.

Memoria dei tempi e delle possibilità di un´adolescenza vissuta d´impeto, lui che nativo di Baunei in quelle zone è cresciuto, e ora memoria - sottoposta al dubbio e all´indagine - di uno dei periodi più grigi e controversi della Sardegna. È infatti negli anni ´70, gli anni dei miraggi della chimica e dell´industrializzazione forzata, che è ambientato il nuovo romanzo di Vigna, La pietra antica (ed. Condaghes, pp. 125, lire 14.000). Un giallo certo lontano dai canoni classici, con le sue venature di carattere politico e antropologico, che pure non manca di far leva su tutti gli elementi della fiction poliziesca.

A partire dalla sensazione di intrigo che Davide, giovane tecnico chiamato dalla città a lavorare alla costruzione di un impianto chimico di notevole impatto sul territorio, percepisce non appena mette piede a Eltili. Un paese afflitto da povertà e disoccupazione che diventa teatro di uno scontro a cielo aperto (tra i contestatori che alla chimica non credono e gli amministratori locali convinti invece di pigiare sull´acceleratore del progresso autorizzando il nuovo insediamento), e insieme di innumerevoli contrapposizioni nascoste che fanno di questo luogo-non luogo la cartina di tornasole delle ambasce di una Sardegna in bilico tra vecchio e nuovo.

Proprio su questa sottile linea di crinale Vigna fa muovere i suoi personaggi. Ora rincorrendo le loro vicissitudini più intime, ora ponendoli, se non come primi attori, almeno come impotenti comparse di una sceneggiata comunque destinata a travolgere la vecchia società agropastorale.

Così è il caso di Lucia, una giovane donna con cui Davide intesserà una relazione che lo porterà a ritroso nel tempo (sulle orme di una madre che in quei posti è vissuta e dai quali si è allontanata). Così è per il giovane professor Manieri, che custodisce un segreto destinato a sciogliersi solo nell´epilogo, e che tenta inutilmente di dimostrare come dietro il pasticciaccio brutto della chimica in Sardegna si nascondano da una parte gli interessi economici dei potentati legati all´asse democristiano-socialista - Ë uno scenario reale, quello del sacco dei contributi a fondo perduto per il Mezzogiorno - e dall´altra l´allucinazione, figlia di un´ideologia la cui illusione determinista ha seminato guai per tutto il mondo, di una sinistra intenta a costruirsi in loco la propria classe operaia.

Ecco allora che mentre il nuovo stabilimento in costruzione assume sempre più l´aspetto di un´accozzaglia di macchinari senza scopo e senza futuro, e mentre un misterioso personaggio controlla tutti i movimenti di Davide e la sua pericolosa amicizia con Manieri, ciò che finisce per emergere è il puro disfacimento del presente, piegato in una dimensione di impotente immobilità. Così come restano immobili le farneticazioni di un vecchio contadino convinto che il suo melagrano sia stato colpito dal malocchio; così come resta immobile, nella terra e nel suo ruolo di ancestrale totem, la Pietra Antica, sa frissa, ai piedi della quale le donne del paese continuano a compiere strani rituali.

Se il finale della storia appare a questo punto un po´ scontato (con la scoperta di un altro stabilimento fantasma, con un omicidio e con l´apparire sotto traccia di un editore rivoluzionario che fa apertamente il verso a Feltrinelli), resta da dire che Vigna ha avuto il coraggio di ambientare il suo romanzo in un´epoca della quale, oggi che d´identità si parla forse troppo spesso e spesso a casaccio, si ha una percezione confusa e incompiuta. Un´epoca i cui guasti si scontano ancora oggi, col salto mortale compiuto col passaggio da una società agropastorale a una postmodernità fonte di grandi disagi sociali ed economici, e che pure resta in buona parte da interpretare e da ricostruire.

(Alberto Melis)