Recensione di Sara Ferri
Tutto ha inizio della piccola trattoria di Sora Franca in una tiepida serata romana. Il nostro protagonista, Alberto Campana, come ogni sera, indossa la sua divisa da cameriere e si prepara al lavoro serale. Ma quella che lo aspetta non è una serata lavorativa normale, bensì un evento predestinato, che cambierà le sorti del ragazzo… e forse del paese intero.
Quello che all’inizio del romanzo sembra il preludio di una storia a metà tra un giallo è un romanzo storico, nello scorrere delle pagine, si rivelerà tutt’altro. Quella che infatti appare, ad un lettore disattento, una storia dove i protagonisti vivono un intreccio narrativo carico di mistero e suspence nasconde, nel suo sottofondo, una morale molto significativa.
La pantera di Bultei, infatti, ci mostra una fotografia della società odierna anche se l’ambientazione non sembra inizialmente essere quella dei nostri giorni. L’autore ci trasporta dalla città Capitolina alla Sardegna più selvaggia e mistica narrando una vicenda suggestiva, in cui la vera protagonista sembra essere proprio l’oscuro felino.
Quella che è stata una vicenda realmente accaduta, che ha coinvolto il paesino Bultei, da cui l’omonimo nome dell’animale, in cui sembrava aggirarsi realmente una pantera fuggita da un recinto, è, in questo romanzo, la base di partenza per una riflessione profonda. I personaggi che entrano in gioco in questo libro hanno nomi stravaganti, quanto stravagante è il loro atteggiamento, sempre ricco di sotterfugi e mistero.
Sopra tutti, a manovrare ogni cosa, troviamo questa organizzazione denominata “Struttura Ufficiale”, organizzazione che l’autore lascia intuire, non essere un semplice schieramento politico né un organo governativo vero e proprio, bensì un ente strutturato in maniera piramidale che dal suo vertice manovra il paese. In questo contesto ogni persona vive nell’accettazione della “Dottrina Fattuale” un‘ideologia accettata convenzionalmente da tutti, capace di rendere le persone più simili a marionette, che ad esseri umani. Ognuno di loro, infatti, sembra interpretare un ruolo già scritto. Ruolo a cui, ognuno di noi, sembra essere predestinato.
Se cerchiamo di leggere la storia “non scritta” nascosta tra le parole di questo libro, ritroviamo la narrazione della quotidianità che la nostra società sta vivendo in questo secolo in cui la tecnologia sembra averci portato avanti anni luce, ma che, in realtà, ci ha allontanati l’un l’altro, ridendoci esseri soli e dai comportamenti stereotipati.
Lo stesso protagonista, nelle pagine iniziali del libro, si allontana in maniera robotica da quello che lui stesso considera il suo vero amore. Il giovane musicista infatti preferisce non rivedere più la sua amata per perseguire il suo obiettivo di vita: quello di diventare musicista professionista. Può sembrare un atteggiamento inconcepibile, ma, nella realtà dei fatti siamo circondati, inconsciamente da atteggiamenti simili. Il lavoro che ogni giorno ci ruba tempo alla vita, le attività multimediali, che ci rendono visibili al mondo intero ma nascosti agli affetti, stanno condizionando la vita di ognuno di noi.
L’autore ci offre l’opportunità di una riflessione profonda, nascosta nella vicenda che ci racconta. Dove oscure sette, confraternite misteriose, congregazioni e gruppi di potere agiscono in totale segretezza perseverando nel loro obiettivo di condizionare le persone. La Pantera di Bultei, questo animale misterioso, che semina morte nelle campagne sarde, appare come un killer spietato e vendicativo che aiuta il nostro protagonista nello ostacolare questo obiettivo.
Questo animale agirà come un angelo vendicatore uccidendo le persone che ruotano attorno ai giochi di potere. La salvezza di tutti sembra nascosta nel ritrovamento di un libro il cui potere è sconosciuto ai più.
Se questo libro dovesse finire nelle mani delle organizzazioni da cui Alberto Campana rifugge la fine di ognuno di voi sarebbe già scritta. Il protagonista cercherà di evitare che ciò accada, anche mettendo a repentaglio la sua vita.
Ma non siamo un po’ tutti Alberto Campana?
Non siamo tutti alla ricerca di un libro che ci indichi la strada per la salvezza del mondo?
E, se ognuno di noi fosse certo della sua esistenza, non farebbe tutto ciò che è in suo possesso per evitare che questo manoscritto finisca nelle mani di chi, entrandone in possesso, avrebbe la possibilità di distruggerci tutti?
Roberto Deriu nacque in una sera di pioggia, alle sette. Era il primo giugno del 1969. La sua tribù era composta da profughi, insegnanti, pittori, commercianti, cronometristi, figli di famiglia, pescatori di triglie. La sua formazione letteraria infantile si incentrò sul giornalino da colorare ´Miao´ e sull´Iliade raccontata dalle amate zie. Appresa la lettura, rivolse l´attenzione a Ibsen e a George Bernard Shaw, che trafugò dalla biblioteca di casa. A nove anni lesse Moravia, ma gli fu proibito da un consiglio parentale, divieto che tuttora osserva. A dieci presentò ai Signori Genitori formale istanza affinché a Natale gli venisse regalata l´opera omnia di Salgari; nel frattempo si accostò alla poesia di Percy Bysshe Shelley, della quale sentì il profumo per l´intera giovinezza. A undici anni lesse Misericordia di Benito Pérez Galdós, e da quel momento tutto il suo tifo letterario fu per gli ispanici. Tentò di scrivere La Pantera di Bultei a partire dal 1985, ma poté stenderne una primitiva versione solo trent´anni dopo. Trascorse l´adolescenza a corteggiare le ragazze che uscivano dai romanzi. Del suo periodo russo è da ricordare una colazione erotica alle uova di lompo (il caviale non era diffuso) con una granduchessa che voleva diventare notaio. Il suo contributo alle lettere contemporanee consiste in una sola frase: «La poesia è un fiore innaffiato di lacrime».