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Rabbia e dolore d´un comunista sardo

  •  26 April 2011 | Press review | La Nuova Sardegna
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«Vicolo Rosso», un libro di Augusto Secchi

È successo nel 1989, a novembre. Due o tre giorni prima del grande passo della Bolognina, la grande svolta. «Il muro di Berlino, come sicuramente saprai, non l´avevano ancora buttato giù» dice Oreste, che parla a ruota libera, tra barlumi di memoria lucida e ricordi annebbiati dal tempo, chiuso ormai da anni in una casa di cura. Chiuso in un vortice di rabbia e dolore, di passioni mai sopite, di sogni traditi, di illusioni, tenerezze e speranze spezzate. È lui che viaggia nella storia italiana recente, vissuta dalla lontana periferia della provincia sarda. È lui, Oreste il matto, la voce narrante di «Vicolo Rosso», coraggioso romanzo di Augusto Secchi, edizioni Condaghes. Poetico e impietoso allo stesso tempo, questo libro carico di forza dirompente come pure di emozioni delicate. Crudo e crudele, lirico e sentimentale. Un romanzo di contraddizioni, insomma, specchio delle contraddizioni politiche che hanno travolto i partiti storici che hanno fatto la storia della Repubblica tricolore.

A cominciare dal Partito comunista, che ha cambiato nomi e simboli, fino a rendere impronunciabile la parola "comunismo", divenuto un insulto dopo tanti sogni mancati. Eppure comunismo era un mondo fantastico, «non era solo Stalin e la sua cricca di degenerati, non erano solo i fatti di Ungheria e il raccapricciante cinismo di Togliatti che in una tribuna politica aveva considerato giusta e ben data l´impiccagione di Imre Nagy, il primo ministro ungherese che aveva guidato la rivolta contro il colonialismo sovietico. E non era neppure l´invasione della Cecoslovacchia, il comunismo - insiste Oreste -, neppure tutto quello sferragliare di carri armati per le strade di una Praga incredula e delusa». «Quelli erano i guasti, è questo che vorrei farti capire, erano i guasti provocati dalle persone» racconta la voce narrante al giovane scrittore che prende appunti per intessere un romanzo, forse, chissà?

«L´ho raccontata anch´io questa favola - va avanti Oreste -, quando sembrava che il mondo stesse per cambiare davvero, e diventava più giusto, e libero, e bandiera rossa la trionferà!». Invece è successo di tutto e il contrario di tutto: lacerazioni in sezione Vicolo Rosso, «discussioni furibonde con gli apparati che scendevano in pompa magna da Roma», quando il compagno Sergio, vero protagonista del romanzo, mandava lettere ai quotidiani «dove argomentava il suo disappunto per quell´idea balorda di togliere la parola comunismo dal nome del partito, relegare in un angolo la falce e il martello e tutto quanto, rimpicciolire e rendere innocui gli imbarazzi della nostra storia, rimuoverli, intrupparci anche noi nell´Italia da bere e da esibire nelle passerelle delle sfilate di moda» continua a rimpiangere Oreste, dalla Casa Matta, deluso dal corso della Storia, dal suo stesso fallimento personale, dalla famiglia andata a rotoli.

Perché è fatto così, questo «Vicolo Rosso»: l´intreccio mette continuamente a confronto la storia recente e la vita privata. Con una serie di personaggi che prendono parola forma e anima in questo lungo monologo-soliloquio che Augusto Secchi tesse con particolare maestria, mentre sullo sfondo c´è l´immagine di Berlinguer in un indimenticato comizio con gli Inti-Illimani e del figlio di Oreste, Evelino, improbabile rivoluzionario che indossa il costume sardo, e il basco, per protestare contro le basi Nato. C´è pure il Profeta, pronipote di Michele Schirru, e Giambo, poeta insolito consumato da una mistura di droghe... È attraverso queste figure che Augusto Secchi scava nelle vicende degli ultimi anni arroventati del comunismo italiano. Visto e raccontato con gli occhi di uno scrittore insegnante che lavora nella scuola media di Siniscola, dove è nato, e già autore di diversi libri (tra cui «I colori dell´assenza», Frilli editori, 2004, e «Rituali scolastici», Condaghes, 2007).


(Luciano Piras)