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Storie e miti di Sardegna

  •  1 agosto 2010 | Rassegna stampa | L´Unione Sarda
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Tradotta in campidanese la favola sugli antenati


Lèbius, leggeri. Come quei sardi di un tempo - i S´ard, danzatori delle stelle - raccontati nel romanzo-utopia di Sergio Atzeni, il libro-testamento tra mito e fantasia pubblicato nel ´96, un anno dopo la sua morte nel mare di Carloforte. Un viaggio nel tempo e nelle suggestioni, in un´isola-Eden perduto, come scrisse Giovanna Cerina in una bella prefazione di Passavamo sulla terra leggeri nell´edizione della Ilisso. Per l´amore che lo scrittore nato a Capoterra ma vissuto a Cagliari nutriva per la sua Sardegna, sarebbe probabilmente contento di rileggersi in una lingua che conosceva bene: il campidanese.
La fatica di tradurre il libro che si apre con la voce narrante di Antonio Setzu è di Franco Medda, ginecologo cagliaritano (ha lavorato negli ospedali Brotzu e San Giovanni, ´su spidali becciu´), nato e cresciuto in Castello, appassionato di lingua e tradizioni sarde. Lèbius nci passamus in sa terra (Condaghes, pagine 182, euro 15) ripercorre in campidanese la storia fantastica dell´Isola degli antenati.
Un lavoro impegnativo per un medico alla prima esperienza di tradusidori. «Questa voglia di Atzeni di raccontare i sardi e la Sardegna di un tempo mi ha spinto a tradurre il libro nella mia lingua, quella che ho imparato a casa, anche se due linguisti mi hanno aiutato a lavare il mio sardo. Mi sono affidato anche a modi di dire che conosco. Per esempio, ho utilizzato faendi is bucchiadas, espressione che indica i rantoli, la morte che si avvicina».
A Sergio Atzeni piaceva giocare con le parole, con la lingua (fantastica anche quella) degli antenati. Dai S´ard a T´is kal´i, suggestiva rielaborazione leggendaria di uno dei luoghi più affascinanti e misteriosi della Sardegna dell´interno (consacrandolo a Is, la luna). Anche Medda, ovviamente innamorato dell´originale («Emozionante la chiusura di Antonio Setzu»), gioca a suo modo con le parole: «Ho mantenuto nel mio campidanese il messaggio di Atzeni». Come quel passo celebre, carico di suggestione, che ha dato il titolo al libro: «Nci passamus in sa terra lebius comenti e aqua chi nci sartiat in basciu de sa scivedda prena de sa funtana...».
Ancora oggi viene ricordata una frase che l´autore amava ripetere per spiegare la sua appartenenza a una terra: «Sono sardo, sono europeo», molti anni prima che si cominciasse a parlare di Maastricht.

(Lello Caravano)